Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Casal di Principe in occasione della Giornata nazionale della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie - Casal di Principe , 21/03/2023
«Oggi l’Italia ricorda tutti i caduti per mano della mafia, della camorra, della ndrangheta. Donne e uomini che hanno sfidato la prepotenza mafiosa, rifiutandosi di sottostare alla paura e alla sopraffazione. Cittadine e cittadini coraggiosi, fedeli al senso del dovere e alla propria dignità personale. Tra le vittime anche bambini, uccisi per errore o per vendetta.
Ancora ieri, a Napoli, un ragazzo 18 anni è stato ucciso quasi a caso, con una crudeltà che gli ha sottratto il futuro, lasciando nella disperazione i suoi familiari.
La mafia è violenza ma, anzitutto, è viltà. I mafiosi non hanno nessun senso dell’onore né coraggio. Si presentano forti con i deboli. Uccidono persone disarmate, organizzano attentati indiscriminati, non si fermano davanti a donne e a bambini. Si nascondono nell’oscurità.
Prima di venire qui, nella vostra scuola, così bella, mi sono recato al cimitero, davanti alla tomba di Don Peppino Diana, dove ho incontrato i suoi familiari.
Don Peppino era un uomo coraggioso, un pastore esemplare, un figlio di questa terra, un eroe dei nostri tempi, che ha pagato il prezzo più alto, quello della vita, per aver denunciato il cancro della camorra e per aver invitato le coscienze alla ribellione.
Don Diana aveva compreso, nella sua esperienza quotidiana, che la criminalità organizzata è una presenza che uccide persone, distrugge speranze, alimenta la paura, semina odio, ruba il futuro ai giovani.
Usava parole “cariche di amore” come ha detto poc’anzi Maria. Parole chiare, decise, coraggiose. Dopo l’uccisione di un innocente disse: “Non in una Repubblica democratica ci pare di vivere ma in un regime dove comandano le armi. Leviamo alto il nostro No alla dittatura armata”.
È esattamente così come diceva. Le mafie temono i liberi cittadini. Vogliono persone asservite, senza il gusto della libertà.
Le mafie sono presenti in tutte le attività più turpi e dannose per la comunità: la prostituzione, il traffico di esseri umani, di rifiuti tossici, il caporalato, il commercio di armi, quello strumento di morte che è la droga, lasciando nel territorio povertà e disperazione.
Oltre a reclamare una maggiore e più efficace presenza dello Stato, Don Diana aveva rivolto il suo forte e accorato appello al coraggio e alla resistenza, per liberarsi dalla camorra, proprio ai suoi parrocchiani, ai cittadini, alla società civile, alle coscienze delle persone oneste.
Aveva capito che la mafia è anche conseguenza dell’ignoranza, del sottosviluppo, della carenza di prospettive, e che quindi la repressione – indispensabile - non è sufficiente e che la mafia si sconfigge definitivamente sviluppando modelli fondati sulla legalità, sulla trasparenza, sulla cultura, sull’efficienza della macchina pubblica.
Per tutti questi motivi, care ragazze e cari ragazzi, la lotta alle mafie riguarda tutti, ciascuno di noi. Non si può restare indifferenti, non si può pensare né dire: non mi riguarda. O si respingono con nettezza i metodi mafiosi o si rischia, anche inconsapevolmente, di diventarne complici.
Battere la mafia è possibile. Lo diceva Giovanni Falcone: «La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine».
Casal di Principe lo ha dimostrato. L’efferato omicidio di Don Peppino Diana è stato un detonatore di coraggio e di volontà di riscatto. Ha prodotto un’ondata di sdegno, di partecipazione civile, una vera battaglia di promozione della legalità. Lo ha ricordato il Sindaco poc’anzi, rammentando la grande partecipazione popolare che ha accompagnato il feretro di Don Diana.
La popolazione ha detto basta alla sopraffazione e alla prepotenza, agevolando, in modo decisivo, l’azione delle forze dell’ordine, degli inquirenti e della magistratura. Sono stati tagliati – con l’entusiasmo, con la resistenza, con il rifiuto dei metodi mafiosi, persino con l’ironia – quei fili di complicità, di connivenze, di paura che tenevano incatenati ideali, sogni, energie positive e creative.
Nei bunker pieni di lusso dove, asserragliati, vivevano i capi della camorra di Casal di Principe oggi si trovano attività di assistenza, di volontariato, di creatività, di imprenditoria solidale. La città rappresenta un modello virtuoso di partecipazione civile. La solidarietà, l’inclusività, l’arte, la cultura, l’allegria sono antidoti alla mentalità mafiosa, che prospera nell’ignoranza, nel disprezzo degli altri, nella paura.
La Repubblica Italiana considera prioritaria la lotta a tutte le mafie. Con leggi e strumenti avanzati, grazie all’impegno di inquirenti e forze dell’ordine - ai quali dobbiamo sempre esprimere vicinanza e riconoscenza - sono state disarticolate organizzazioni potenti e minacciose, capi arroganti sono stati assicurati alla giustizia, intere aree sono state liberate dall’oppressione mafiosa.
Grazie anche al lavoro prezioso di associazioni di volontariato, la cultura dell’antimafia, il rigetto dei metodi criminali si sono diffusi in modo straordinario, specialmente tra i giovani, spezzando le catene dell’omertà e della paura.
Non dobbiamo smettere di vigilare. La criminalità organizzata è capace di vivere nascosta, pronta a rialzare la testa al minimo sintomo di cedimento.
La Repubblica vi è vicina, ragazzi. Tutte le amministrazioni pubbliche devono far sentire con efficacia la loro presenza accanto ai cittadini. Insieme a tutte le espressioni della società civile.
La politica sia autorevole nel fornire risposte alle emergenze e ai problemi socio-economici dei territori. L’amministrazione sia efficiente, trasparente, rapida nelle decisioni.
Come hanno chiesto poc’anzi con chiarezza la Dirigente scolastica Paolella e Fabrizio, le istituzioni sono chiamate ad abbattere le barriere che impediscono ai giovani di realizzare i propri sogni nel territorio dove hanno le radici.
Care ragazze e cari ragazzi, Maria e Fabrizio poc’anzi hanno ricordato pregiudizi, preconcetti che sovente vengono registrati. Vi comprendo bene: anche la mia città li ha subiti. Ma voi dovete essere fieri di essere nati in questa terra, che ha saputo compiere questa vera, grande, rinascita. Dovete avvertire l’orgoglio di essere concittadini di Don Diana.
Dovete rifiutare, fin dai banchi di scuola, la sopraffazione, la violenza, la prepotenza, il bullismo, che sono un brodo di coltura della mentalità mafiosa.
Ricordate sempre, ragazze e ragazzi – se posso chiedervelo -, che siete la generazione della speranza, quella a cui Don Diana ha passato idealmente il testimone della legalità.
Un grande magistrato, conoscitore del fenomeno mafioso, Antonino Caponnetto, soleva ripetere che “i mafiosi temono di più la scuola che i giudici, perché l’istruzione taglia l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa”.
In questa scuola, con i vostri docenti, state ponendo le basi per un futuro migliore, per il vostro territorio, per voi, e per la vita delle vostre comunità.
Sono venuto questa mattina per portarvi l’apprezzamento e l’incoraggiamento della Repubblica.
L’Italia guarda a voi con attenzione, con solidarietà, con simpatia, con fiducia.
Auguri!»
Da La Repubblica, 22 marzo 23
L’Italia di Mattarella
di Isaia Sales
Ieri per un giorno Casal di Principe è stata capitale d’Italia.
Come Cutro nelle settimane precedenti. Paesi del Sud considerati malati di cultura mafiosa, pieni di oziosi e nullafacenti, parte di un’Italia minore, che assurgono invece al ruolo di anticipatori di un’Italia possibile, solidale, antimafiosa, generosa, orgogliosa, coraggiosa.
Per un giorno gli abitanti di questa cittadina casertana si sono sentiti orgogliosi di essere “casalesi”, perché compaesani di don Peppino Diana (il prete ucciso nella sua chiesa il 19 marzo del 1994, che con il suo comportamento di sfida quotidiana ai camorristi riscattava anche le troppe vigliaccherie dei suoi colleghi) e al tempo orgogliosi di essere italiani perché accomunati al capo dello Stato dal dolore (personale e pubblico) per le tante vittime innocenti che hanno provato a contrastare il potere mafioso sacrificando la loro vita.
Che bello vedere il capo dello Stato sedersi in mezzo agli studenti, mettersi all’altezza dei loro sentimenti, dire parole che sanno di autenticità rispondendo a quelle altrettanto autentiche dei giovani che lo hanno accolto: “Noi non vogliamo andare via da questi posti, vogliamo restarci per provare a cambiarli, se ci viene data la possibilità di farlo”.
Dopo Cutro, dunque, Casal di Principe. Dopo la tragedia degli immigrati morti in mare, il presidente Sergio Mattarella ha voluto essere presente al ricordo di una vittima di un’altra tragedia, quella dei morti per mafia, in questa via crucis laica nei luoghi-simbolo e nei problemi irrisolti di una nazione ferita dalla disumanità, dalla disunità e dalla violenza.
Sul problema delle mafie bisogna, però, ricordare semplici ma amare verità. L’impegno repressivo dello Stato è cominciato seriamente solo qualche decennio fa, dopo una secolare sequenza di “delitti senza castighi”. Se si volesse definire in poche parole cosa hanno rappresentato le mafie nella storia d’Italia si potrebbe parlare della più lunga e anomala guerra civile che si è svolta all’interno di un paese occidentale, con caratteristiche del tutto atipiche: essa non è stata occasionata da contrapposizioni etniche tra popoli diversi membri della stessa nazione, né da differenze di credo religioso, né darivendicazioni di autonomia da parte di territori che pretendevano un primato su altri, né motivata da altre cause tipiche delle guerre intestine che hanno insanguinato molte nazioni al mondo. No. Si è trattato di una anomala e originale guerra civile, perché i carnefici combattevano unicamente in nome del potere e della ricchezza ed erano alleati con una parte di coloro che dovevano tutelare le vittime.
Il nostro non è, certo, uno Stato dominato dalle mafie, ma uno Stato che ha convissuto con le mafie. E lo ha fatto dal 1861 in poi. L’Italia presenta nella sua storia un lungo deficit di statualità di cui la convivenza con le mafie è sicuramente l’espressione più concreta, più tenace, più inaccettabile. Una guerra totale alle mafie non è stata mai proclamata, mai combattuta fino in fondo e mai vinta definitivamente. In alcune realtà si è accettato, quasi come fatto naturale, che ci fosse la caserma dei carabinieri, la piazza, il campanile e la cosca mafiosa.
Le mafie non appartengono alla categoria delle criminalità di predazione né alla violenza di ribellione, né tantomeno alla tradizione di contrapposizione alle istituzioni da parte dei violenti del popolo. Appartengono, invece, alla storia della “violenza di dominanza”, quella violenza che risponde alla “brama di autorità, di prestigio, di gloria e di potere”. Ma per esercitare potere stabile e continuativo i mafiosi hanno bisogno del riconoscimento di chi il potere già lo esercita nelle istituzioni preposte (politica, apparati di sicurezza, magistratura, economia). Una mafia che non si rapporta con i poteri costituiti è semplice criminalità.
Si può parlare di mafia solo in presenza dell’incontro tra strutture delinquenziali e circuiti politico-istituzionali, solo se si instaura un rapporto tra strutture criminali e poteri legittimi. La mafia, insomma, è “una declinazione criminale del potere”.
Sergio Mattarella prova a delineare con la sua presenza (le sue parole e la sua storia personale) un’Italia non indifferente ai drammi umani, più unita e senza relazioni con le mafie.
Un’Italia possibile, se si vuole.