“La vita felice è un meccanismo a orologeria: il ticchettio inarrestabile che avvertiamo, pagina dopo pagina, è quello di una famiglia che sta per essere travolta. Un romanzo mozzafiato sulle colpe dei padri e l’innocenza dei figli.”.


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“Non ne sapevo niente, allora, dei modi in cui l’amore può manifestarsi, né della forza con cui può spingerci in un angolo e toglierci il respiro.”
Ecco un romanzo prevalentemente al maschile: un figlio e un padre al centro della vicenda. È il primo, Elia, a raccontare, una trentina di anni dopo i fatti, ciò che è accaduto quando era adolescente, all’epoca in cui il genitore venne licenziato e cominciò a comportarsi in modo strano, rimanendo per ore sul suo furgone o chiuso in garage, scrivendo lettere che rivelavano un complotto.
L’atmosfera è da noir, lo stile serrato e giocato su omissioni e sottrazioni, su rari e progressivi indizi; il risultato una lettura che si fa con il cuore in gola, e che inquieta. anche se fin dall’inizio sappiamo che il padre, Ettore, ha portato nel bosco una ragazza, anzi, proprio perché già conosciamo il colpevole, di pagina in pagina cresce la tensione dettata dal desiderio di conoscere i modi di quell’agire e soprattutto le ragioni. Romanzo anche di formazione, di educazione sentimentale, per come i fatti incidono sulla personalità del giovane, per come ne orientano la crescita, per l’attrazione che prova nei confronti di una donna ben più grande di lui, madre dell’amico Stefano, per la scoperta del sesso che infine ne consegue. (…).
Per ricostruire il passato dell’io narrante, Varvello adotta una struttura narrativa binaria alternata: corredati di titolo i capitoli in cui l’io narra, segnalati da numeri gli altri, nei quali la terza persona riferisce gli avvenimenti nel loro accadere. Un sovrappiù di suspense dato dalle continue interruzioni, messo a punto con professionalità dall’autrice. Il titolo: antifrastico, si direbbe, al limite della provocazione, dal momento che essere figli di un padre così ingombrante e folle (si è parlato di bipolarismo estremo) sembra escludere a priori la possibilità di un percorso di vita felice. Eppure l’excipit sembra a propria volta contraddire l’antifrasi: “Il bene che, nonostante tutto, diamo e riceviamo. La vita felice. La vita che ci resta, è solo questo, e (...) non va sprecata”. Esclusa la felicità, si può allora recuperare il “bene” che c’è stato e c’è; così forse è possibile accedere a una serenità che apre alla consapevolezza, dopo avere ricomposto dentro di sé le relazioni genitoriali attraverso la narrazione della propria storia, con lo strumento della memoria come cardine conoscitivo. Uno strumento però non sempre fedele, spesso anzi ingannevole, ma che anche nell’inganno nasconde una verità. La quale ci avverte che la memoria è per definizione legata al passato, ma ha a che fare con il presente e il futuro, anche se non li determina del tutto (…).

(Recensione di Luisa Ricaldone in “L’indice dei libri del mese” – gennaio 2017)
Elena Varvello, La vita felice, Einaudi 2016

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